Film che aiutano a risvegliarsi ed uscire dalla schiavitù del sistema

Posté sur 10 Dicembre 2018

Quella che segue è l’analisi di una strana tendenza: produrre film che aiutino le persone a risvegliarsi . Ma siamo proprio sicuri ?

Era da tempo che non scrivevo un articolo, non perché non ne abbia avuto voglia, ma perché nessun film mi aveva particolarmente ispirato. Poi, l’altro giorno ho visto “Il castello di vetro” e ho pianto negli ultimi venti minuti. Siccome mi fido sempre delle mie emozioni, ti suggerisco di andarlo a vedere almeno per due ragioni. La prima è che lo trovi in sala proprio in questi giorni  (mentre scrivo siamo ai primi di dicembre 2018) , la seconda è che lo sceneggiatore è Destin Daniel Cretton lo stesso del nostro amato ( nel senso filmatrixiano del termine) The Shack .

Quando il film è finito ho pensato che negli ultimi anni sono aumentate le pellicole il cui messaggio sembra essere “risvegliamoci e usciamo dalla schiavitù del sistema”. Una tendenza sempre più in voga, un desiderio per molti di noi e per altri, invece, un progetto concreto.

Il cinema segue gli umori, anzi a volta li crea toccando milioni di persone e chi segue  Filmatrix   sa questo cosa vuol dire. Forse possiamo sostenere che quel “In to the wild” ha segnato l’inizio di un moto interiore di ribellione nei confronti delle regole, del sistema, dell’essere solo piccoli ingranaggi di una grande “macchina infernale”.

Da allora migliaia di persone hanno cominciato a chiedersi “che senso ha?” , “è questo davvero lo scopo della mia vita ?” Così il cinema ha colto a volo questa esigenza per raccontare il sogno segreto della gente: vivere una vita all’insegna della semplicità. 

Come lo sta facendo ? Secondo me male! Anzi lo sta facendo a servizio del sistema stesso.

Il fatto che una minoranza di persone consapevoli si stia risvegliando e che per il futuro ci sia la concreta possibilità di ribaltare la barca  “non è  cosa buona”. Per chi ? Per chi di “sistema” vive e il cinema, haimè! resta un fedele servo. Non tutto sia chiaro.

Basta citare il lavoro di Thomas Torelli, amico e anima risvegliata che da diversi anni ha scelto la strada tortuosa dell’opera indipendente, ma che l’amore premia ogni giorno con il divulgarsi dei suoi film.

thomas torelli filmatrix e choose love

Il 17 novembre ho assistito alla premiere del suo ultimo docu-film “Choose Love”, che ho contribuito a produrre e che sta facendo letteralmente innamorare migliaia di spettatori (trovi il DVD a questo link http://www.unaltromondo.net/ ).

Sempre più persone sono alla ricerca concreta di una vita semplice, fatta di piacere non edulcorato, di felicità essenziale. Alla ricerca di un contatto con la vera essenza dell’umanità, molto vicina ai ritmi della natura, ad un sapere che è più “saggezza” che “conoscenza”. Nel mio giro di amicizie, ad esempio, in tanti stanno rinunciando all’automobile,  investono in terreni, girano il mondo senza meta fissa ma solo per il piacere della scoperta, e naturalmente vivono con il minimo indispensabile.

Altri amici hanno scelto da tempo l’homeschooling per i propri figli , ritenendo un’istruzione autonoma  rispettosa di quel sano equilibrio tra formazione ed emersione dell’autenticità, del potenziale e del naturale carattere di un individuo. Inutile raccontarcela, la scuola è un campo di addestramento mascherato con i buoni propositi. L’individuo che subisce l’educazione formale, solitamente diventa un ingranaggio del sistema che detta pochi, semplici  e subdoli ordini:  trova un lavoro, sposati, contrai un mutuo, paga le tasse, consuma e muori. Triste, agghiacciante, ma purtroppo vero.

E ancora, si stanno sviluppando sempre di più le fattorie autonome, i gruppi di acquisto, le cure omeopatiche, le comunità di formazione olistica e l’interesse per la decrescita felice. Insomma, tutto questo erode chiaramente una quota di mercato al sistema che comanda l’economia da secoli e secoli.

Come reagisce la macchina infernale ? Chiamando all’appello gli alleati, e purtroppo una buona parte del cinema è tra questi. Così vengono prodotte pellicole come “ Captain Fantastic”“Senza lasciare traccia” , oppure “The Kindergarten Teacher” per assecondare quella voglia di libertà e allo stesso tempo ingannarla. All’apparenza si tratta di film molto belli , in cui sembra ci sia un messaggio positivo. E invece ?  Non so se li hai visti tutti, ma hai fatto caso che a vincere non è mai l’essenza umana ?

Cos’è  l’essenza umana ? E’ quella parte di noi che non ha bisogno di “nulla” per essere felice. Quella parte di noi “nuda e cruda” come Dio ci ha fatti, con i nostri difetti che diventano “unicità” in assenza di giudizio, con i nostri pregi, che diventano attimi immersi nel flusso universale di tutte le cose.

Sarà anche una visione molto filosofica la mia, ma di sicuro dopo aver visto questi e altri film, lo spettatore si alza credendo:  beh! del resto il sistema è necessario ed è meglio accettarlo! Perché ? Vediamolo insieme.  

In “Captain Fantastic”, film che abbiamo adorato, un padre che per anni era riuscito a tenere lontani i figli dalla convulsione moderna, cede, quasi di crepacuore, concedendo ai figli di andare a scuola e rientrare lentamente a far parte della “macchina”.

In “Senza lasciare traccia” accade di peggio. Un padre e una figlia sono costretti a separarsi perché il primo è innamorato della solitudine  e della natura ( anche un po’ malato), mentre la seconda è alla ricerca di una “normalità” . E la soluzione quindi qual è? Quella di instillare nello spettatore un sentimento straziante di abbandono legandolo all’ostinazione del padre, ovvero di colui che rifiuta il sistema. Senza mezzi termini il messaggio subdolo che lavora silenziosamente è questo : se odi il sistema, prima o poi il dolore consumerà le persone che ami. Meglio amarlo.

Infine in “The Kindergarten Teacher”   (che uscirà in Italia con un titolo che rende meglio “Lontano da qui”) c’è il collasso totale della speranza. E’ la storia di un bambino, il cui talento per la poesia è in serio pericolo. Se ne accorge un’insegnante illuminata che fa di tutto affinché il prodigio non venga appiattito dal sistema, annullato, miseramente conformato al grigiore della società moderna, ma come prevedibile non ci riesce.

La scena che chiude il film, e che per ovvie ragioni non vi mostrerò,  grida un’accusa contro l’ipocrisia, e scaraventa un’ondata di emozione negativa sullo spettatore che non può far altro che alzare le spalle e pensare “ che peccato! È proprio così che stanno le cose”. Qual è il problema più grande ? E’ quel “contro”. Sappiamo che un’emozione negativa contribuisce solo ad alimentare il manifestarsi di situazioni simili. Mi spiace dirlo, ma è un altro finale che alimenta il buio anziché la luce.

So di attirarmi le antipatie di chi il cinema lo vive come un momento di relax , e non ha affatto voglia di fissarsi sui dettagli, ma il messaggio che voglio lanciare è che non basta che un film sia bello. Non è sufficiente che un film sia un atto di accusa, o un mezzo per accrescere la consapevolezza. E’ arrivato il momento di schierarsi dalla parte della “luce”. Osanniamo dei film che ci “sembrano” dei capolavori, ma in realtà sono velati strumenti di controllo i cui messaggi sono emotivamente insani.

Uno dei meccanismi più subdoli che viene utilizzato è quello della “confusione”. Farcire una pellicola di momenti altalenanti, in cui a volte l’amore vince e a volte perde, è l’anticamera della manipolazione. Con questo non voglio dire che tutti i film siano manipolatori, e neppure che ci sia sempre una dietrologia, anzi tutt’altro. Credo che ci sia molta inconsapevolezza. Credo che i registi, gli sceneggiatori, i produttori non hanno ancora capito quanto è “potente” un film e l’impatto che questo può avere sull’inconscio della gente. Quella scena commovente, quella in cui il messaggio sembra fatto di speranza, di “essenzialità”, di “gioia” è purtroppo spesso funzionale ad un  finale in cui la stessa speranza perde. E questo è quello che rimane.

Altre volte invece il meccanismo della “confusione” viene utilizzato per abituare le masse ad un’idea, e nel caso dei tre film che ho citato, l’idea è sempre la stessa  “il sistema è il male minore”.

Per questo mi è piaciuto “Il Castello di vetro” . Forse non è destinato ad essere ricordato, ma è senz’altro un messaggio profondo, dove a vincere è l’idea originale di un padre con tutte le sue debolezze, paure e ideali. Nonostante questo, il film non scade mai nel facile sentimentalismo.

La trama (molto in sintesi) è quella di un uomo che fugge da un posto all’altro insieme alla sua famiglia per evadere le tasse. La sua inquietudine lo costringe ad inventare storie a cui attaccarsi, oltre che al collo della bottiglia, per alimentare nella sua famiglia la speranza, l’unica cosa che può permettersi.

Non è affatto un modello di padre esemplare. Ma è qui che molti di noi incominciano a riconoscersi nei panni della figlia Jeanette, la vera protagonista. Una bambina che cresce sapendo di avere un padre mezzo mito e mezzo pazzo e comincia ad odiarlo nel momento in cui capisce che le sue promesse non sono altro che menzogne.

Se non hai visto il film potresti chiederti “e cosa c’entra questo con la fuga dal sistema?”. Naturalmente è l’evolversi della sceneggiatura, come l’evoluzione della nostra vita, a fare la differenza.

Cosa accadrebbe se all’improvviso avessi la consapevolezza che tutto quello che ti è accaduto è stato per il tuo bene, compreso l’aver avuto un padre pazzoide, alcolista e ipocrita che ti ha tenuta lontana dai fatti sinuosi della modernità ? Sarebbe come una schiarita in un cielo buio, una luce in mezzo alla tempesta ad annunciare la tregua, finalmente dopo tanto soffrire. Così si sente la protagonista e cosi si sente lo spettatore sul finale de “Il castello di vetro”.

 Anche qui la figura del sovversivo, dell’antisistema è affidata ad un uomo squilibrato, in modo che dal principio non ci siano equivoci sulla “fallace idea di libertà”. Tuttavia il finale, a differenza degli altri film, mostra il trionfo delle scelte paterne. Forse  l’intenzione di Rex (così si chiama un grandioso Woody Harrelson nel film) non era così nobile, di sicuro è arrivato a fare quelle scelte perché aveva paura di se stesso, come alla fine ammetterà, ma è proprio questo che rende tutto così sfacciatamente umano.   

Finalmente un regista che fa una cosa sensata, ovvero salva tutte le iniziative strambalate di Rex mettendole sotto un’altra luce. Così , il momento in cui disteso sul prato, regalava una stella ai figli non avendo soldi per altri regali,  diventerà l’ancora alla quale aggrapparsi quando a tradirli sarà il mondo materiale. Oppure quando la storia mostra allo spettatore già in lacrime, che il coraggio di Jeanette è il frutto di una notte passata all’addìaccio con il padre, durante la quale Rex affronta i mostri con la figlioletta calandosi con tutto il cuore nella parte di mentore.

Credo di aver pianto così tanto alla fine, perché si tratta anche della mia storia. Mio padre non ha fatto nulla di tanto teatrale, ma oggi mi soffermo spesso a pensare quante di quelle cose che all’epoca mi sembravano ingiuste, mi siano servite per affrontare i mille volti della vita.

 Mentre negli altri film emerge chiaramente l’idea che solo i pazzi possono credere possibile una vita senza regole, vivendo di espedienti e crescendo i figli a suon di illusioni, in questo film vince l’idea che la felicità non si nasconde nel “sistema”, ma nella capacità di interpretare le proprie esperienze nella maniera giusta, anche quando qualcuno ti ha fatto “sognare” e ha mancato qualche promessa.

 Rex : Non abbiamo mai costruito quel castello di vetro.

Jeanette: No! Ma ci siamo divertiti a progettarlo. 

So di non aver reso giustizia ad un film che è molto più di questo, ma anche io proprio come Jeanette, oggi, mentre il mio sguardo vaga nel vuoto, penso alla mia storia, alle mie sofferenze e non posso far altro che sentirmi un uomo fortunato. 

 L’unico errore che Rex ha commesso, se di errore possiamo parlare,  è quello di aver alimentato speranza nella vita dei suoi figli, di averli illusi, ma solo per un breve periodo.

Come diceva Noam Chomsky:

“Se credi che non ci sia speranza farai in modo che non esista alcuna speranza. Se credi che ci sia un istinto verso la libertà, farai in modo che le cose possano cambiar. Ed è possibile che tu possa contribuire a creare un mondo migliore”

Forse, insieme ci stiamo già riuscendo.

Ci rivediamo in giro

Virginio

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